📦 Dimmi che packaging ti piace e ti dirò cosa comprerai.

Se la vostra filosofia di vita si basa su proverbi quali l’abito non fa il monaco o mai giudicare un libro dalla copertina, è meglio che rivediate la loro efficacia. Almeno quando sarete di fronte ad un prodotto da acquistare. 

Questo perché il neuromarketing ha capito che il cervello, quando prende una decisione, predilige ciò che più lo colpisce, irrazionalmente. Quindi sceglierà sempre la maledetta copertina più bella. Questi studi sono stati fatti per capire perché scegliamo un prodotto piuttosto che un altro, in modo da sviluppare strategie per sedurre un cliente all’acquisto.

Conoscere quindi alcuni principi del neuromarketing può renderci più consapevoli e non cadere vittime di acquisti discutibili a suon di ci son cascato di nuovo.

Il neuromarketing, applicato al packaging, ha evidenziato infatti come colore, forma e texture dell’imballaggio siano rilevanti tanto quanto quello che contengono. Ciò significa che una confezione che cattura la nostra attenzione ha buona possibilità di diventare il nostro prossimo acquisto. A cosa è dovuta questa risposta così impulsiva? Non dimentichiamo che il nostro cervello è antico e risponde in automatico all’equivalenza dettaglio in evidenza= pericolo! Inoltre, quando il cervello è di fronte ad una vasta scelta non può spendere energie per valutare ogni singolo elemento; per questo motivo la prima impressione avrà la meglio.

Perciò, che caratteristiche dovrà avere una confezione per essere ingaggiante?

Innanzitutto dovrà emergere fra i competitor: quindi spazio a creatività e packaging inusuale (la confezione triangolare di cioccolato Toblerone vs tutte le classiche tavolette).

La texture è un altro elemento fondamentale nel costumer journey perché permette un primo contatto multisensoriale del cliente con ciò che acquisterà. Una texture liscia è più apprezzata per il minor attrito. Via libera anche ad imballaggi di carta perché eco-friendly, per guadagnare brand awarness e per il senso di artigianalità che veicolano. Anche un rivestimento flessibile può far vendere di più in quanto il cliente distinguerà meglio il prodotto all’interno.

 

Non tralasciamo ora il colore: sappiamo dalle neuroscienze che ogni tonalità suscita, in ciascuna cultura, una sensazione diversa. Quindi, se per l’occidente il blu è legato all’igiene, in Cina lo ritroveremo nel settore vinicolo. Per quanto riguarda gli altri colori:

  • Rosso, giallo e marrone stimolano appetito (Pringles, Fonzies, Lion);
  • Oro e viola richiamano prestigio e raffinatezza (Pure Poision di Dior o Montale);
  • Verde allude alla salute (Versioni healty di alcuni prodotti: CocaCola per la sua versione con stevia colora l’etichetta di verde). Se a ciò aggiungiamo una confezione opaca verrà rafforzata l’idea di contenuto salutare rispetto ad un packaging lucido, maggiormente associato al junk food.

 

I colori attivano anche sensazioni sinestetiche ovvero la capacità di evocare, a partire dalla vista, un particolare sapore: così per esempio l’arancio richiamerà un gusto speziato. Arancio è infatti il colore del profumo Terre d’Hermés (che presenta note speziate e agrumate).

 

 

Per ultimare il prontuario per un packaging a prova di impulso irrazionale, ora basta scegliere dove posizionare l’etichetta del brand. Anche qui la scienza ci viene in aiuto: l’eye tracking suggerisce infatti di posizionare il marchio dove lo sguardo si sofferma maggiormente.

Ci accorgiamo quindi quanto il neuromarketing influenzi le scelte delle aziende che creano per i loro prodotti confezioni accattivanti. Pensiamo, per concludere, ad un esempio che ha fatto scuola, l’unboxing per eccellenza: aprire un prodotto Apple. Quell’attesa generata dalla sacca d’aria che si crea mentre si estrae il prodotto, la sua caduta a rallenty è hype allo stato puro, progettato ad hoc dal team creativo di Apple per il fatidico primo contatto con l’oggetto del desiderio.

In definitiva, tutta questa attenzione al packaging non è forse una madeleine, sotto mentite spoglie, che ci ricorda di quando da piccoli non stavamo nella pelle per scartare i regali impacchettati sotto l’albero di Natale? Non si tratta di rievocare quella sensazione di gioia sincera? Se così fosse dovremmo suggerire ai packaging designer un nuovo nome per la loro professione: aiutanti di Babbo Natale.

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